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AURORA SANSEVERINO: UNA NATURA ROMANTICA

Tra il 1659 e il 1730 visse in Basilicata Aurora Sanseverino. Una poetessa poco conosciuta forse in ragione del fatto che la maggior parte dei suoi componimenti sono andati dispersi. Ne restano delle tracce in alcuni volumi del '700 conservati nella Biblioteca Nazionale di Napoli.
Nata a Grumento il 28 aprile 1669, Aurora Sanseverino partecipò intensamente alla vita letteraria del suo tempo.
Fece parte dell'Accademia di Roma e della Società degli Spensierati di Rossano. La sua casa di Napoli divenne un punto di incontro per letterati e artisti. Lo stesso va detto per il castello di Saponara, a Grumento, dove risiedeva il padre di Aurora, il conte Carlo Sanseverino, che come viene riferito da Raffaele Riviello in "Cronaca potentina" fu nel 1663 Preside della Reggia Udienza di Basilicata. In questo castello si tennero rappresentazioni teatrali e concerti. Il chè ha del singolare se si considera la posizione geografica di Grumento, all'epoca fortemente decentrata rispetto alla capitale politica e culturale dei Regno di Napoli. La spiegazione sta nel fatto che la famiglia Sanseverino, come afferma Raffaele Nigro in "La Basilicata tra umanesimo e barocco" già dalla fine dei 1400, riusciva ad aggregare intorno a se la cultura lucana. Un primato che I Sanseverino divisero con i De Guevara di Potenza, con i De Balzo di Venosa e con i Caracciolo di Melfi. In questo ambiente Aurora Sanseverino crebbe e si formò, dimostrando interesse in particolare per la filosofia e la storia. La sua capacità di esprimersi in versi venne fuori abbastanza presto. Sono del 1684 alcuni suoi sonetti e una egloga, che furono tra l'altro apprezzati negli ambienti romani della cultura. Aurora non aveva che quindici anni.
Due anni prima si era sposata con Girolamo Acquaviva, conte di Conversano. Rimase vedova solo qualche anno dopo. Non siamo in grado di dire quanto questo avvenimento incise nella sua vita e di rimando In quella che fu la propria produzione poetica. Di certo Aurora Sanseverino, dopo la morte del marito, intraprese una serie di viaggi. Visitò Palermo e Napoli e in queste città ebbe intensi scambi culturali. Come tutti gli intellettuali lucani del tempo anche lei dunque diede vita a quel fenomeno di "Immigrazione all'interno del regno", che Raffaele Nigro - nel volume citato - spiega come una circolazione di idee "dalla capitale alla provincia, osmosi, vivacità culturale, ben diversa dall'emorragia e del flusso migratorio che vedono intellettuali lucani spostarsi in regioni lontane dalle terre d'origine." A guardar ben Nigro con queste parole descrive un'abitudine del 1500, ma a distanza di due secoli - Aurora Sanseverino è del 1700 - la realtà non era affatto mutata.
Dai documenti dei quali siam oggi in possesso la produzione letteraria di Aurora Sanseverino appare non molto cospicua.
La sua fu una poesia che interpretava i costumi di una società agiata e benestante, fortemente divincolata dalle necessità di quanti invece vivevano in odor di miseria.
Ricordiamo che siamo agli inizi del '700 e il Regno è quello di Napoli. Non staremo comunque ad analizzare le contraddizioni sociali di quegli anni. Preferiamo piuttosto evidenziare la maniera con la quale la nostra poetessa leggeva, letterariamente parlando, il proprio tempo. Lo stile è quello dei componimenti ispirati da una visione idillica e fortemente idealizzata della vita nei campi e nei boschi. Per lo più il metro lirico adottato è quello del sonetto, la cui creazione originaria è del 1200 ed è attribuita Giacomo da Lentini. L'impostazione dei sonetti della Sanseverino è quella tipica: quattordici versi in tutto, con due quartine e due terzine, con rime o alternate o baciate o incrociate.
Ecco uno di questi sonetti:

Sfoga pur contro di me, Cielo adirato
Quanto più fai tue crudo aspro furore
Ch'indarno tenti di fierezza armato
Spegnere favilla al mio cocente ardore

Puoi ben tormi, ch'io possa in su l'amato
Volto nutrir quest'affannato cuore
Ma sveller non puoi già dal manco lato
Il dolce stral con cui ferimmi Amore

Siami pur forte rea ogn'or più infesta
Viva pur l'alma in pianto ed in cordoglio
Che il mio fermo desir ciò non arresta

lo son di vera fede immobil scoglie
Cui di continuo il vento, e 'l mar tempesta
Ma non si frange al lor feroce orgoglio.

Emerge da questa poesia la natura romantica di Aurora Sanseverino insieme ad un rigore grammatico senza cadute liriche, Una produzione letteraria, la sua, che ha al centro l'amore e la nostalgia, II rimpianto da lei dimostrato è per qualcosa che non potrà mai possedere del tutto; la vita. Avverte insomma il peso della ineluttabilità degli eventi e si sente vittima del fato e allora la tristezza, pacata e consapevole, diventa un linguaggio per esprimere la voglia di vivere e la gioia di esistere. Ma va anche oltre. Spinge la sofferenza dentro i labirinti di una calcolata disperazione, in cerca di una protezione che le manca, In questa dimensione il dolore ha un valore catartico e la malinconia ne descrive i passaggi verso l'infinito, verso l'Eterno. Fisico e metafisico si confondono e il creato, la natura, si pongono come elementi di transizione dall'esistere al divenire. Aurora Sanseverino, nei suoi sonetti, sviluppa questi concetti facendosi incantare da un mondo che altro non è se non il suo mondo interiore. Così scriveva;

Come selvaggia fiera i lumi ardenti
Fugga del sol che rasserena il mondo
E della notte contro l'oblio profondo
Solitario sen va tra l'ombra algenti

Tal son'io che lungi dalle genti
E dall'alma città fugge, e m'ascendo
E tra le selve e i miei sospir diffondo
Di poggio in poggio, all'aure, all'onde, ai venti

Talor d'un rio su la fiorita sede
Poso le membre lasse, e al cantar fioco
odo risponder Progne e Filomena

Così prendendo il cieco mondo a giunco
Cotal sento virtù che ml rimena
A più felice via, ch'altri non crede.

Quanta fatalità in questi versi. Vi si avverte pure il desiderio di liberarsi dall'opprimente gioco del tempo, per fuggire in una dimensione dove non si avverta più nè paura, nè affanni. Un luogo in cui vi sia spazio solo per i sentimenti, a contatto diretto con gli elementi naturali. Aurora Sanseverino cerca insomma nella poesia un rifugio ideale dagli attacchi della vita quotidiana. Per questo nei suoi versi evoca la notte e la solitudine come rimedi estremi per sconfiggere il proprio male di vivere.
Resta comunque da capire se questo modo dl esprimersi di Aurora Sanseverino era dettato da una profonda convinzione o da un atteggiamento letterario.
A guardare la sua vita non emergono grossi conflitti o particolari problemi. Certo! Si sposò quindicenne e solo qualche anno dopo rimase vedova. Obiettivamente non è possibile dire gran che della sua personalità se non che amava la musica e pur prediligendo la poesia e la retorica, non disdegnava le scienze. A leggere le cronache del tempo sembra che non disprezzava nemmeno la vita mondana. Non appare quindi come donna afflitta e che mancasse di realizzazione. Diversi furono gli artisti e gli uomini di lettere che le dedicarono proprie opere; Paolo Sangro un volume di rime, Andrea Perucci una lode su "L'Arte rappresentativa" e il Ripa la ritrasse come fanciulla sul dorso di Pegaso, il cavallo alato che simboleggia la poesia.
In seconde nozze Aurora Sanseverino sposò il principe Niccolò Gaetani D'Aragona. Da questo matrimonio ne derivò il suo trasferimento a Napoli e la sua casa, come abbiamo avuto modo di accennare, divenne un vero e proprio salotto letterario, in cui si tenevano convegni artistici e scientifici.
Ma tentiamo di capirne di più della personalità di questa poetessa lucana attraverso un altro sonetto.

Zeffiri molli, aure soavi e chete
Vaghi augelletti, ombre gradite e sole
Gigli, Ligusti e tremule viole
Deh, cessi il riso, e al comun duol piangete

Ninfe, voi ch'n quest'onde albergo avete
Lasciate i dolci balli e le carole
E accompagnando il suon di chi si duole
Sol di mesti cipressi il suol spargete

L'aria, la terra, e 'l mare in duol sia volto
E calzi ogni mio cigno coturno
Sol rida il ciel si gradito acquisto

Così disse piangendo il mio Volturno
Quanto a lui giunse il suon tra fonde misto
Ch'alta Donna regal morte ci ha tolto.

In questi versi l'immaginazione letteraria è assoggettata alla visione culturale e religiosa della società del 700. La morte rappresenta perciò un evento che sfugge alla capacità razionale dell'uomo di comprendere la natura delle cose.
Aurora Sanseverino spaziando a tutto campo dalla sfera del metafisico ai regni della natura, sublima il timore della morte con il dolore. Parte insomma dalla considerazione che intanto l'uomo soffre perchè appartiene alla materia, la quale non si distrugge ma si trasforma. La conseguenza logica di tale presupposto è che se l'uomo esiste oggi non potrà anche non esistere domani In una diversa dimensione spirituale. La nostra poetessa appare però condizionata dai sensi, dal rigore logico e dal modo di pensare comune della sua epoca. È vittima per questo di una visione del mondo che è al tempo stesso languida, appassionata, sentimentale e sognante, ma anche pragmatica, volta a sperimentare ogni presupposto teorico per provarne la validità pratica. E se il vantaggio è quello di liberarsi da ogni ipotesi fideistica, il rischio è invece quello - come Aurora Sanseverino dimostra - di lasciarsi incantare dal valore estremamente relativo della conoscenza e del sapere, e in altro caso addirittura - proprio all'opposto da una sorta di etica degli affetti che soffoca la più pura e ideale ricerca della verità assoluta.


tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie,1989

Autore: RINO CARDONE

 

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